Sappiamo tutti che riordinare è davvero spiacevole. C’è la componente fisica (dover spostare oggetti, spolverare, …) e quella psicologica (il ricordo legato all’oggetto, valutare se conservare tale oggetto oppure no, …).
Tuttavia, talvolta, può capitare un ritrovamento interessante.
E fu così che mentre il mio compagno, Elia Chiaraluce, spostava alcuni libri per riordinare, l’occhio mi cadde su un piccolo opuscolo. La copertina rappresentava un drago,
“un drago bipede dalle classiche ali di pipistrello, con tanto di corno sulla fronte, muso a uncino, lingua guizzante fuori dalle fauci e lunga coda serpentina”,
come l’autore, il professor Gabriele Quaranta (che mi ha gentilmente concesso il permesso di parlare di questa vicenda da lui raccontata) descrive con arte all’interno dell’opuscolo.
“Va bene, un drago. Adoro i draghi, ma magari questo opuscolo si concentrerà sull’autore di questa immagine, e non racconterà niente dei draghi” pensai cautamente.
Passai quindi a leggere il titolo: Vicenda del drago di Zagarolo e il sottotitolo Immagini, versi e memoria per un caso di “cronaca buffa” a cavallo tra Seicento e Settecento. Il mio cuore fu subito trafitto dall’interesse: un drago, a Zagarolo, e con tanto di sottotitolo esplicativo (cosa che adoro)!
Per chi non lo sapesse, Zagarolo (la cui variante femminile, Zagarola, era assai diffusa in passato, fino a XVIII secolo inoltrato) è un comune italiano di 18 475 abitanti della città metropolitana di Roma Capitale nel Lazio.
Ora, come scrive il professor Quaranta nel suo incipit:
Draghi e altri esseri favolosi popolano volentieri i paesaggi della memoria, finanche alle nostri latitudini, che diremo propense a concedere credito a persistenti echi mitologici piuttosto che a brumose presenze di vago sentore wagneriano.
In effetti, siamo più abituati a Giove e Venere che ai draghi, qui in Italia!
E invece a quanto pare ci fu un drago, proprio qui nella provincia di Roma.
La storia che lessi è davvero interessante, e non mancano colpi di scena e misteri che solo alla fine trovano la loro soluzione.
Sappiamo tutti che i draghi non esistono. Ma allora come spiegare la stampa del 1696, che riporta la dettagliata immagine di un drago e una poesia intitolata
“Sopra il drago di Zagarola”?
Infatti nel numero 8-9 (agosto-settembre) del 1982, proprio in chiusura, fu pubblicata una pagina veniva dedicata a “Il drago di Zagarolo, una leggenda del ‘600”:
Ecco il testo della canzonetta (ma è venerdì pomeriggi, quindi potete saltarlo perché c’è un piccolo riassunto subito dopo) e la stampa:
Sopra il drago di Zagarola
Canzonetta nuova
Questo è il drago superbo e fiero
che per sentiero strisciando va
fra Zagarola e la Colonna
l’huomo e la donna paura n’ha.
Questa è la sua nera figura
e la misura sta sotto qui,
non si spaventi cari signori
la lingua fuori se tien così.
Sta con la bocca aperta e cruda,
e tutto suda d’atro velen,
quelle sue zanne lunghe e ritorte
spiran la mort dentro del sen.
Vedete l’ali di pipistrello
che mezzo uccello lo fan parer;
e gli occhi torbidi, al naso, al muso,
da mezzo in suso pare un levrier.
Ma la sua coda lunga e squamosa
la brutta cosa sembra a vede’
abbrugia i fuori e l’erba molle
negre le zolle fa sotto il pie’.
Presso ad un arco la bestia orribile
passa invisibile l’acqua a lambir.
Suona la squamma macchiata e lucida
e l’acqua sudicia fa divenir.
Però si spera che fra poche ore,
dal gran malore morto cadrà
v’han posta sopra una grossa taglia
ma chi la sbaglia non l’haverà.
Romani andate nel gran cimitero
ch’ei più del vento veloce và
stringete l’asta contro al mostro
trionfo nostro un dì sarà.
Lo pingerete nella bandiera
insegna vera del gran valor,
andrà la storia famosa e contra
fin dove sponta del sol l’albor.
Verran l’oneste dolci zitelle
ornate e belle con zinalin
tutti giulivi verran gli amanti
vaghi e galanti col biondo crin.
Vorrano vedere, vorran toccare
le spoglie amare del fior pitone
e scherniranno quello che un giorno
mugiva intorno qual fiero tuon.
Ma voi fra tanto cari signori
Mettere fuori la carità,
già che v’ha detto vezzosa e bella
la villanella la verità.
Certo, il tono è assai leggero: all’inizio si descrive il drago con tinte fosche, ma poi il tutto si risolve con un “invito alla caccia”, e il finale è spirito e allegro. Non sembra proprio la descrizione di un evento di cronaca.
Ok, sarà stata la burla di qualcheduno che voleva essere spiritoso, e non c’è stato nessun drago. Pazienza, ci avevo sperato.
Ma poi ho letto che si ispirava a un VERO FATTO DI CRONACA. Tra l’altro l’incisione riporta la dicitura “Drago come viveva il primo dicembre 1691 nella paludi fuori Roma” all’interno della cornice e sotto la stampa è scritto: “IN ROMA; Nella Stamperia di Gio: Giacomo Komarek Boemo alla Fontana di Trevi, 1696”.
Date molto precise: 1691 e 1696. Purtroppo però date precise non implicano la veridicità di un fatto. L’autore dell’opuscolo però scrive:
Ogni aspetto di questa vicenda sembra dunque avere tutto il sapore dell’innocente leggenda locale e quadrava alla perfezione nella geografia del piccolo ducato, come una storia cucita su misura, nata forse a opera di qualche arguto buontempone, e cesellata in versi smaliziati da qualche erudito letterato della corte dei Rospigliosi. Tuttavia, frugando tra le pagine di antichi memoriali — e in particolare tra quelle di una fonte fondamentale per la storia romana di quel periodo — scopriamo non senza sorpresa che la storia del “Drago di Zagarolo” ha natura tutt’altro che leggendaria e NASCE INVECE DA UN FATTO DI CRONACA REALMENTE ACCADUTO, un avvenimento certamente buffo ma certamente VERO.
(il maiuscolo l’ho aggiunto io)
Continua il prossimo venerdì!
La tua capacità a passare da argomenti estremamente intimi, ad altri ironici fino ad approdare a meravigliose storie leggendarie, mi lascia esterefatta. Grazie per questi piacevolissima appuntamenti del venerdì
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Grazie mille! 😀
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